mercoledì 26 ottobre 2011

ANGOLO POESIA : L'ascensore - Giorgio Caproni

Veduta dall'ascensore di Castelletto
Adoro Genova, per questo non manco e non mancherò di farle tributo.
La poesia è di Giorgio Caproni, poeta Livornese, fortemente legato alla Liguria e a Genova.
Castelletto è per me un luogo poi particolarmente caro, una poesia vivente, una continua emozione pulsante.
Dal suo belvedere tutto sembra più semplice, ogni cosa assume un aspetto diverso, distaccato. Genova si lascia spiare da qui, e rivela il suo sorriso dolce, quasi materno, che spesso si perde nella frenesia quotidiana, nel perpetuo suo trafficare.


L'Ascensore - Giorgio Caproni

Quando andrò in paradiso
non voglio che una campana
lunga sappia di tegola
all'alba - d'acqua piovana.

Quando mi sarò deciso
d'andarci, in paradiso
ci andrò con l'ascensore
di Castelletto, nelle ore notturne,
rubando un poco
di tempo al mio riposo.

Ci andrò rubando (forse
di bocca) dei pezzettini
di pane ai miei due bambini.
Ma là sentirò alitare
la luce nera del mare
fra le mie ciglia, e... forse
(forse) sul belvedere
dove si sta in vestaglia,
chissà che fra la ragazzaglia
aizzata (fra le leggiadre
giovani in libera uscita
con cipria e odor di vita
viva) non riconosca
sotto un fanale mia madre.

Con lei mi metterò a guardare
le candide luci sul mare.
Staremo alla ringhiera
di ferro - saremo soli
e fidanzati, come
mai in tanti anni siam stati.
E quando le si farà a puntini,
al brivido della ringhiera,
la pelle lungo le braccia,
allora con la sua diaccia
spalla se n'andrà lontana:
la voce le si farà di cera
nel buio che la assottiglia,
dicendo "Giorgio, oh mio Giorgio
caro: tu hai una famiglia."

E io dovrò ridiscendere,
forse tornare a Roma.
Dovrò tornare a attendere
(forse) che una paloma
bIanca da una canzone per radio,
sulla mia stanca
spalla si posi. E alfine
(alfine) dovrò riporre
la penna, chiuder la càntera:
"É festa", dire a Rina
e al maschio, e alla mia bambina.

E il cuore lo avrò di cenere
udendo quella campana,
udendo sapor di tegole,
l'inverno dell'acqua piovana.

Ma no! se mi sarò deciso
un giorno, pel paradiso
io prenderò l'ascensore
di Castelletto, nelle ore
notturne, rubando un poco
di tempo al mio riposo.

Ruberò anche una rosa
che poi, dolce mia sposa,
ti muterò in veleno
lasciandoti a pianterreno
mite per dirmi: "Ciao,
scrivimi qualche volta,"
mentre chiusa la porta
e allentatosi il freno
un brivido il vetro ha scosso.

E allora sarò commosso
fino a rompermi il cuore:
io sentirò crollare
sui tegoli le mie più amare
lacrime, e dirò "Chi suona,
chi suona questa campana
d'acqua che lava altr'acqua
piovana e non mi perdona?"

E mentre, stando a terreno,
mite tu dirai: "Ciao, scrivi,"
ancora scuotendo il freno
un poco i vetri, tra i vivi
viva col tuo fazzoletto
timida a sospirare
io ti vedrò restare
sola sopra la terra:
proprio come il giorno stesso
che ti lasciai per la guerra.


Giorgio Caproni

2 commenti:

  1. Ma è così nostalgico questo ascensore?

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  2. Beh... la nostalgia è sicuramente nell'osservatore, non nel posto in sè.
    Sai, è un luogo di passaggio molto suggestivo, caratteristico ed è un punto di ritrovo per giovani, famiglie, anziani. Quindi per chi è della zona, passandoci diverso tempo, e in diverse fasi della sua vita, assume un valore affettivo, che inevitabilmente diventa nostalgico nel ricordo e nella narrazione.

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